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Il Sole, le macchie solari, i raggi cosmici e il climaTAG: cicli solari, macchie solari, raggi cosmici, clima, riscaldamento globale
Provare che l'attuale riscaldamento del pianeta dipende dall'effetto serra è un compito molto difficile. Il problema principale che i climatologi si trovano ad affrontare è che non esistono modelli del clima sufficientemente affidabili per capire esattamente che cosa influisca sulla temperatura del pianeta facendola salire o scendere nel tempo.
Per questo motivo chi studia l'esistenza di un «effetto serra» al di fuori dall'attività umana, trova riscontro che gli aumenti di temperatura registrati in questi ultimi anni possono essere stati causati da fattori diversi dall'emissione di anidride carbonica e da altri gas serra. Fra queste cause naturali una delle più invocate è quella delle possibili fluttuazioni nell'attività solare.
Il tema di questo elaborato scientifico è stato quindi quello di cercare dati e notizie nel vasto mondo di Internet raccogliendo da innumerevoli fonti eventuali verifiche sulla nuova teoria che lega i mutamenti climatici terrestri con l’attività solare.
Anche secondo Lassen e Thejll, astronomi danesi e primi studiosi che misero in evidenza una correlazione tra clima terrestre e cicli solari, la deviazione dal modello da loro presentato “andamento della temperatura terrestre e attività solare”, significa che sul clima del pianeta sta agendo un fattore relativamente nuovo che non dipende dal Sole. Questo probabilmente è un fattore che prima degli anni ottanta era nascosto dalle variazioni naturali della temperatura ma che, da allora, si è chiaramente manifestato e forse si chiama proprio «attività umana».
Il riscaldamento terrestre: l'effetto serra. Il Sole è la fonte di energia del sistema stellare del quale facciamo parte integrante. Esso irradia un enorme quantitativo di energia elettromagnetica e, una parte, è intercettata dalla Terra. Il calore viene assorbito dal nostro pianeta e gli permette di raggiungere così una temperatura di superficie di 288 °Kelvin (= 15 °C), mentre, se fosse privo di atmosfera, avrebbe una temperatura di 255 °Kelvin (= -18° C). Per mantenere questa temperatura media, la Terra deve a sua volta riflettere la maggior parte dell'energia ricevuta dal Sole, il che è perfettamente possibile in uno spazio cosmico con una temperatura di soli 3 °K. Tale energia viene irradiata dalla Terra sotto forma sia di luce visibile che di calore, radiazione infrarossa, ed è percepibile non con la vista ma con il tatto. Per quanto riguarda l'energia luminosa, il 51 % dell'energia incidente è assorbito dalla superficie terrestre, il 19 % dall'atmosfera, mentre il 30 % viene riflesso nello spazio (la cosiddetta albedo della Terra), principalmente tramite la diffusione delle nubi. Il tenore di vapore acqueo dell'atmosfera ha quindi un forte influsso sul bilancio delle radiazioni di luce visibile.
L’innalzamento della temperatura è dovuto all’esistenza di un effetto serra naturale senza il quale non ci sarebbe vita su questa Terra. I gas che contribuiscono da sempre a questo effetto naturale sono in primo luogo vapore acqueo (H2O), anidride carbonica (CO2), ozono (O3), metano (CH4) e protossido di azoto (N2O). L'effetto serra naturale comporta quindi un aumento di 33 °C (da –18 °C a +15 °C) e tra i gas citati la CO2 ha un ruolo chiave poiché funge da filtro delle radiazioni solari lasciando passare l'energia (incidente) a onde corte e assorbendo invece quella a onde lunghe, ossia l'irradiazione termica emanata dalla Terra verso lo spazio cosmico.
Rappresentazione dei gas che costituiscono l'effetto serra naturale.
Siccome il bilancio delle radiazioni deve quadrare anche a livello globale, occorre indagare sul resto dell'energia. Infatti, solo il 30 % della radiazione incidente è riflesso sotto forma di luce visibile; di conseguenza, il 70 % deve essere riflesso sotto forma di raggi infrarossi, di cui il 64 % proviene dall'atmosfera. Qui si verifica uno scambio di energia complesso, che non comprende unicamente processi d'irraggiamento, ma anche fenomeni di altra natura (convezione, turbolenza, evaporazione, condensazione).
L’incremento da attività umana Quanto descritto finora si riferisce a un effetto serra naturale, non influenzato dall'uomo, come si verifica sulla Terra da milioni di anni: in base alle annotazioni del Medioevo, infatti, non emerge alcun influsso dell'uomo sul clima. Le cause risiedono da un canto nella popolazione della Terra, in passato relativamente poco densa (ha superato la soglia dei 2 miliardi solamente nel 1925), e dall'altro nel fatto che i manufatti realizzati fino al ventesimo secolo, anche se molto inquinanti in base agli attuali parametri e responsabili di grandi quantità di rifiuti nocivi, erano presenti sulla Terra in misura tanto limitata e sparsa che era impensabile un qualsiasi effetto sul clima. Tutto ciò, però, è cambiato con l'avvento dell'industrializzazione, un processo che in Inghilterra e in Germania iniziò già all'inizio del diciannovesimo secolo ed è tuttora in corso.
Tutti i processi altamente industrializzati attuati da questo punto in poi implicano un forte consumo di energia e causano perciò un sensibile aumento dei gas (CO2, CH4, CFC, N2O, O3) che rafforzano l'effetto serra naturale. L'anidride carbonica gioca un ruolo centrale e costituisce il principale gas a effetto serra antropogenico.
Rappresentazione dei gas serra dovuti all'attività umana.
Dall'inizio dell'industrializzazione, quindi, l'uomo ha creato un altro livello energetico, che si situa tra 288 e 800 °K circa, in alcuni casi (altiforni, caldaie di centrali elettriche, ecc.) raggiunge anche 1500 °K, e che completa i tre livelli energetici naturali Sole (5700 K), Terra (ca. 288 °K) e universo (ca. 3 °K). Il calore liberato da questo quarto livello energetico viene irradiato a sua volta nell'universo o viene riflesso dalle nubi, il che rafforza ulteriormente l'effetto serra: l'anidride carbonica prodotta dalla combustione di vettori fossili ostacola la radiazione infrarossa nello spazio, provoca una congestione termica e di conseguenza tutta una serie di reazioni, che fanno ulteriormente salire la temperatura. Le sue fonti sono ben note e possono essere stimate con buona approssimazione (nel 1997: 8 Gt (C), corrispondenti a ca. 30 Gt (CO2). L'aumento attuale del CO2 nell'atmosfera ammonta a circa 1,8 - 1,9 ppmv all'anno, pari allo 0,5%. In questo aumento sono compresi la deforestazione e il consumo di energia fossile non commerciabile.
Il ciclo annuo del carbonio nel 1997. 1 Gt (C) corrisponde a 3,67 Gt (CO2)
Tra le fonti principali del CO2 prodotto dall'uomo figurano la combustione dei vettori energetici fossili, i disboscamenti e, in misura minore, la produzione di cemento. Nei paesi industrializzati, il consumo energetico si ripartisce in parti grosso modo equivalenti tra economie domestiche (32 %), industria (35 %) e trasporti (33 % circa), ma non si può dire lo stesso per le emissioni di CO2, per via delle differenze tra i vari vettori energetici. Nelle economie pianificate europee, finora, il 60 % dell'energia era consumato dall'industria e il 13 % dai trasporti, mentre nelle economie pianificate asiatiche il 50 % era consumato dalle economie domestiche, il 45 % dall'industria e il 5 % dai trasporti; nei paesi in via di sviluppo con un’economia di mercato, invece, il 49 % era consumato dall'industria, il 27 % dai trasporti e il 24 % dalle economie domestiche.
Previsioni future Presumibilmente, dal punto di vista biosferico-ecologico e socio-economico, il principale problema per l'umanità è costituito dalle ripercussioni dei cambiamenti climatici previsti a livello mondiale. È questo il problema di cui ci si dovrà occupare in maniera approfondita nonostante l'incognita legata al suo verificarsi.
I modelli climatici sono abbastanza insicuri e lo saranno ancora di più se li si assocerà con i cosiddetti modelli d'impatto volti a rilevare gli effetti dai cambiamenti climatici. Analizzando l'impatto sul clima in termini di zone climatiche e classi di vegetazione, si constata una tendenza alla riduzione delle superfici boschive (misurate in base al potenziale bosco naturale, senza considerare i disboscamenti e i danni causati da sostanze nocive) con una velocità a volte drammatica, così come al netto aumento dei deserti, della steppa e della savana.
Questi cambiamenti rappresentano una grave minaccia per l'agricoltura, che rischia di subire siccità, fenomeni di carsismo, dilavamenti del suolo o il dilagare di organismi nocivi grazie alle condizioni più calde e umide alle latitudini medie. Altri effetti del genere, magari ancora sconosciuti, potrebbero a loro volta sommarsi in seguito all'utilizzazione di sostanze nocive o nutritive, creando effetti combinati non ancora noti, ma che celano un notevole pericolo potenziale.
L'effetto serra potrebbe determinare modifiche della sfera vitale a causa di: · un aumento o una diminuzione regionale della temperatura · un innalzamento o anche un abbassamento del livello del mare · un aumento o una diminuzione dell'umidità dell'aria · un aumento o una diminuzione delle precipitazioni · l'influsso di altri elementi climatici, come il vento, gli uragani, le tempeste, ecc.
Queste oscillazioni sono dovute al combinarsi di altri vari fattori che influiscono sul clima della Terra: i parametri orbitali (traiettoria della Terra, inclinazione dell'asse della Terra, precessione dell'asse della Terra) e l'attività solare (macchie solari); questi sono più o meno periodici e cambiano con il tempo.
Il Sole: descrizione della stella Il Sole è la stella che dà il nome al sistema planetario a cui appartiene la Terra e del quale è l’unica fonte di energia. Esso è, nonostante l’importanza fondamentale per la vita terrestre, una piccola stella, in termini astronomici tipica stella nana di classe G0, con diametro di 1.390.180 chilometri (pari a 110 volte il diametro terrestre). La sua massa è 300.000 volte quella terrestre, ma la densità solo ¼ di quella del nostro pianeta (e 1,4 volte quella standard dell’acqua). La sua forza di gravità è molto elevata, pari a 28 volte quella della Terra: un solido pesante sulla Terra 45 kg sulla stella assumerebbe il peso di 1,26 tonnellate.
Il Sole, la cui luce raggiunge la Terra in circa 499 secondi (pari a 8 minuti e 19 secondi), si muove in direzione della stella Vega alla velocità di 20 km al secondo portando con se tutti i pianeti del Sistema Solare. Grazie ad osservazioni telescopiche si è potuto osservarne la costituzione dell’involucro gassoso, o atmosfera, e capirne così la sua costituzione. Lo strato più esterno è la regione più luminosa e prende il nome di corona. La densità qui è estremamente rarefatta e si compone di 3 parti: la corona K o continua, dove si ha dispersione di elettroni liberi, la corona E, o di Fraunhofer, dove si evidenziano linee di grande energia, e la corona F, o esterna e che si confonde con la luce zodiacale. Sono, questi, tre strati altamente ionizzati e la loro temperatura e di 106 °K. Essi rappresentano la più importante sorgente di emissioni radio e possono essere osservati sia con metodi ottici che con l’ausilio di radiotelescopi.
Lo strato successivo spesso poche centinaia di chilometri è lo strato invertente. Gassoso e più freddo della fotosfera, si confonde con lo strato successivo della cromosfera. La cromosfera ha uno spessore che può variare dai 10.000 ai 14.000 km ed è composta più esternamente da idrogeno, elio e metalli in quasi assenza di equilibrio termodinamico, e più internamente da idrogeno neutro a una temperatura di 5.000 °K.
Si giunge così alla fotosfera che è la superficie del Sole, la parte che vediamo ad occhio nudo ed in luce normale. Ha uno spessore di qualche centinaia di chilometri e separa la parte interna e densa della stella dai gas che costituiscono l’atmosfera, relativamente più freddi e rarefatti. Di un apparente colore bianco brillante più intenso al centro che al bordo, fenomeno questo chiamato “oscuramento al lembo”, ha una temperatura di 5750 °K. Ha un carattere distintamente granulare, dove il diametro dei singoli elementi è di 100 e più km. Si possono notare inoltre aree molto grandi, più luminose e irregolari, e aree più scure. Le prime sono le facole, composte da gas molto caldi, e le seconde sono le macchie solari, relativamente più fredde.
Il nucleo del Sole ha temperature molto elevate che mantengono innescata la catena protone-protone mentre l’alta pressione contiene la violenza esplosiva delle reazioni termonucleari. Tutto ciò porta alla produzione di energia e alla formazione di Elio a scapito dell’Idrogeno. Tale nucleo è spesso 150.000 km e l’energia si trasmette verso l’esterno con un meccanismo di radiazioni che coinvolgono lo strato successivo di 500.000 km. In questa, chiamata zona radioattiva, gli atomi assorbono e cedono energia senza dar luogo a reazioni nucleari, fino a giungere a 130.000 km dalla superficie dove, vista la minore pressione, divengono meno stabili. Gli enormi movimenti convettivi portano infine l’energia verso la superficie sulla quale noi possiamo osservare la parte terminale di tali celle convettive formando l’involucro più esterno e luminoso del Sole.
Discorso a parte è da intraprendere a riguardo delle protuberanze solari. Sono enormi fiammate, anche di dimensioni di migliaia di km, che poi ricadono a formare immensi ponti. Appaiono in un brillante color rosso, lo stesso della cromosfera, e la loro natura è abbastanza ignota: non si riesce a capire come venga vinta l’intensa attrazione gravitazionale in modi che possa avvenire il lancio di così tanta materia ad altezze elevate. Si sa però che il numero delle protuberanze è legato a quello delle macchie solari, dove spesso hanno origine proprio a causa di queste.
Le macchie solari Si presentano come zone più scure sulla superficie solare e sono di ampia estensione e forma irregolare. In esse distinguiamo una regione centrale più scura detta ombra, da una circostante più chiara, detta penombra, e si manifestano sempre comprese tra i 5° e i 40° di latitudine Nord (e Sud) e di dimensioni variabili tra i 150 e i 100.000 km di diametro. Presenti generalmente a coppie le macchie conservano sempre la stessa polarità: se una è orientata verso il polo nord solare, la corrispondente posteriore è orientata verso il polo sud. Ciò comunque vale per tutte le coppie di un ciclo e di un emisfero con la situazione analogamente invertita per l’emisfero opposto.
Le macchie solari seguono un emiciclo ben definito di periodo abbastanza regolare di 11,2, rendendo un ciclo completo di 22,5 anni. Quando un ciclo termina e ne ha inizio un altro, la polarità è invertita rispetto al ciclo precedente.
La formazione e lo sviluppo delle macchie solari non sembra ancora del tutto interpretato. La teoria più accreditata è che un debole aumento del campo magnetico solare fornisca una spinta al plasma stesso; ciò crea un’instabilità che forza il materiale ad innalzarsi ed espandersi, con conseguente parziale raffreddamento. Infatti rispetto alla superficie, di temperatura di 5750 K, queste hanno circa 4000 K. Il meccanismo sembra così anche giustificare sia la doppia polarità delle macchie che l’elevato campo magnetico, anche 1000 volte maggiore a quello della superficie solare, riscontrato sulla superficie delle macchie stesse.
Periodicità delle macchie solari Gli astronomi misurano le dimensioni delle macchie solari in funzione della superficie solare visibile. L’unità favorita è “il milionesimo di superficie solare”, cioè se si registra un’area di 1 millionesimo, la superficie della macchia è 0,000001 volte l’area dell’emisfero solare rivolto verso la Terra. Tipicamente una grande macchia misura tra i 300 e i 500 milionesimi e la Terra è solo 169 milionesimi del disco solare. Il grafico sovrastante mostra le dimensioni delle più grandi macchie negli anni dal 1900 al 2000; i dati sono stati recuperati dal Dottor David Hathaway, fisico presso il Marshall Space Flight Center della NASA, e mettono in evidenza la periodicità del ciclo dalla cadenza undecennale, l’alternarsi di momenti di massima e di minima di macchie stesse nonché le grandi dimensioni delle macchie nel massimo di attività. Le macchie emettono grandi quantità di radiazioni ed emanano particelle cariche. Le radiazioni impiegano otto minuti a giungere sulla Terra, mentre le particelle impiegano un po’ di tempo in più, aumentando così l’entità del vento solare.
Correlazione tra attività solare e clima terrestre: prime ipotesi I primi a formulare un’ipotesi che mettesse in correlazione la lunghezza del ciclo undecennale dell’attività solare, in particolar modo quella preponderante delle macchie solari con l’innalzamento della temperatura superficiale terrestre, furono due danesi: Friis-Christensen e Lassen, componenti dell’Istituto Danese di Meteorologia. Questi all’inizio furono molto criticati per un innumerevole numero di ragioni, una tra queste era che le loro misurazioni della lunghezza del ciclo solare e dell’irradianza del Sole non si basavano su basi fisiche.
Grafico della teoria di Friis Christensen e Lassen-1991
Questa nuova teoria da loro illustrata però ispirò numerosi colleghi che cominciarono a cercare altre correlazioni. Accoppiando il numero di macchie solari con la temperatura superficiale terrestre, registrati dalla metà del 1800, Solanki & Fligge nel 1999, trovarono una buona correlazione ma la relazione espressa tra macchie solari e irradianza solare non era proprio diretta. Nel 2002, nuovamente il meteorologo Lassen, assieme ad un altro collega Thjell, pubblicarono nuovi risultati nei quali si effettuava una stima della temperatura superficiale terrestre avvalendosi di altre misure dell’attività solare. Queste seguivano in modo abbastanza fedele i dati registrati sulla Terra ma dimostravano una discrepanza dalla seconda metà del ventesimo secolo.
Grafico della teoria di Thjell e Lassen-2002
Macchie solari e magnetosfera Analogamente ai lavori descritti nel paragrafo precedente, è stata quindi paragonato l’incremento della temperatura superficiale terrestre con l’indice geomagnetico solare, di cui abbiamo accertate misurazioni terrestri registrate dal 1868 in Australia, Camberra e in Inghilterra. Questo lavoro, nonostante mostrasse alcune limitazioni dagli anni ’80 in poi, introduceva un nuovo campo d’indagine: il cambiamento del campo magnetico solare, e quindi di conseguenza anche di quello terrestre, porta alla variazione di quantità di raggi cosmici che colpiscono la Terra.
La magnetosfera, creata dal campo magnetico che la Terra produce, avvolge il nostro pianeta e lo protegge dalle radiazioni cosmiche. La sua forma non è prettamente rotondeggiante ma, a causa del vento solare, assomiglia a una goccia. E’ molto schiacciata dalla parte del Sole, qui la sua dimensione è di circa 10 raggi terrestri, e molto allungata dalla parte opposta, 100 e più volte il suo raggio.
L’attività magnetica terrestre dipende dal periodo di rotazione del Sole e dal numero di macchie solari, a loro volta queste ultime potrebbero temporaneamente dominare su tutti gli altri effetti soprattutto durante il massimo del ciclo solare. La Terra è costantemente investita da una pioggia di particelle energetiche chiamate raggi cosmici ma nei periodi in cui l’attività solare è alta, il campo magnetico terrestre, conseguentemente molto intenso, la protegge e riduce così notevolmente l’arrivo delle particelle cosmiche. Gli studiosi di Cosmo-Geofisica del CNR di Torino hanno ottenuto informazioni su tale modulazione durante alcuni cicli undecennali di bassa attività solare all'inizio del secolo (minimo del cicli di Gleissberg), misurando il radioisotopo cosmogenico 44Ti in 9 meteoriti cadute sulla superficie terrestre tra il 1883 e il 1992. La radioattività (bassissima) del 44Ti risultava in fase con la modulazione aspettata, ma l'ampiezza della variazione era circa 4 volte maggiore rispetto a quella misurata direttamente dai raggi cosmici negli ultimi decenni. Ciò dimostra che la persistenza di una attività solare bassa durante alcuni cicli undecennali riduce la schermatura dei raggi cosmici, da parte dell'eliosfera, in misura maggiore di quella normale Si può quindi affermare che con il Sole in alta attività il campo magnetico terrestre è alto e i raggi cosmici che arrivano a colpire la Terra sono di bassa entità, mentre con attività solare bassa il campo magnetico terrestre è conseguentemente basso permettendo così un grande passaggio di raggi cosmici. Misure su una meteorite, caduta nel 1840, dimostrano poi che il minimo persistente di attività solare all'inizio del 1800 (detto Minimo di Dalton) ha prodotto un forte aumento del flusso dei raggi cosmici.
Indagini climatologiche La variazione del campo magnetico terrestre ha un riflesso immediato sul quantitativo di C14 fissato dalle piante nei vari periodi, che può essere collocato temporalmente tramite l’analisi degli anelli d’accrescimento. Il C14 è un elemento radioattivo che si forma proprio in diretta conseguenza dell’arrivo dei raggi cosmici. Nei periodi in cui arrivano meno particelle il contenuto del C14 nelle piante è inferiore rispetto ai periodi in cui il Sole è più tranquillo e quindi lo "schermo" magnetico è meno efficace. Alcune piante vivono a lungo e oggi sono molto vecchie, anche di migliaia di anni. Fra queste alcuni alberi come gli abeti setolosi e i Pinus Aristata, che si ritiene risalgano a circa 5000 anni fa.
Alcuni studiosi hanno così potuto riscontrare diversi picchi del C14 contenuto negli anelli di questi alberi. I picchi coincidono abbastanza bene con dei periodi che, per quanto è dato sapere, sembrano essere stati più freddi del normale. Questo è il caso, ad esempio, degli anni che vanno dal 1410 al 1500, conosciuto dagli astronomi che studiano l’abbondanza delle macchie solari come minimo di Spoerer, e ancora di più proprio per il periodo coincidente con il minimo di Maunder, che per i climatologi è addirittura conosciuto col nome di "piccola età del ghiaccio". Al contrario, una bassa percentuale di C14 equivarrebbe a un periodo di alta attività solare e quindi alla presenza di un clima più caldo e il nesso sembra funzionare ad esempio per il periodo compreso fra il 1100 e il 1300. Quindi, ricapitolando, bassa attività solare significa clima più rigido, ma anche minore protezione dai raggi cosmici, maggiore produzione di C14 atmosferico e maggiore assorbimento di C14 da parte delle piante e viceversa.
Altro metodo d’indagine per il rilevamento del clima del passato è il prelievo di carote di ghiaccio. Sulla superficie dei ghiacciai di alta montagna e nelle regioni polari, la precipitazione si deposita sotto forma di neve trascinando le impurezze presenti in atmosfera, quali polveri e composti chimici. Quando la temperatura rimane in permanenza sotto lo zero, la neve non si scioglie ma sprofonda di anno in anno trasformandosi in ghiaccio, sotto l'effetto del suo stesso peso, ad alcune decine di metri di profondità. In questo processo di trasformazione, l'aria che si trova negli interstizi fra i cristalli di neve viene imprigionata all'interno del ghiaccio in minuscole bolle. Le perforazioni nelle regioni polari hanno permesso il prelievo di carote di ghiaccio, cilindri verticali di 6-12 centimetri di diametro, dagli strati profondi dei ghiacciai. Più si scende in profondità, più si torna indietro nel tempo. Per questo l'analisi chimica delle carote di ghiaccio rende possibile l'identificazione dei diversi stadi climatici del passato e permette di ricostruire l'evoluzione del clima e della composizione chimica dell'atmosfera.
In Antartide sono stati eseguiti quattro carotaggi: nella base americana Byrd ed al Polo Sud, nella base russa Vostok e nella base francese Dome C. La carota più lunga (2546 metri di profondità) è stata ottenuta dagli scienziati russi nella base Vostok. Questo carotaggio ha permesso di ricostruire la storia climatica dell'emisfero australe degli ultimi 400.000 anni. A Vostok rimangono probabilmente altri metri di ghiaccio da perforare prima di raggiungere la roccia sottostante; a quel punto si potrebbe ricostruire l'evoluzione del clima degli ultimi 500.000 anni.
Le analisi chimiche debbono quindi essere eseguite in particolari laboratori "puliti" per evitare una contaminazione del ghiaccio con le impurezze presenti nell'atmosfera attuale. La composizione isotopica dell'ossigeno nella neve (il rapporto fra il numero di atomi di ossigeno di massa 16 e di massa 18) è funzione della temperatura dell'atmosfera al momento della precipitazione. Altro gas serra come il metano è stato analizzato e i dati sono stati accoppiati per trovare una correlazione.
L'analisi di questi parametri lungo le carote dimostra che in tutte le carote profonde sono comprese le precipitazioni depositate durante l'ultimo periodo glaciale. Dai dati di Vostok (Antartide) si sono ricostruiti a ritroso due cicli climatici, comprendenti due glaciazioni e due periodi interglaciali, come il nostro attuale. Durante l'era glaciale, al suo culmine circa 18.000 anni fa, la temperatura era in media di 4-5 °C più bassa dell'attuale.
Raggi cosmici I raggi cosmici sono una radiazione elettromagnetica diffusa e quasi uniforme, proveniente da tutte le direzioni e che permea tutto l'universo. Ha un massimo di intensità alla lunghezza d’onda di 2.6 cm e si pensa sia il residuo della radiazione emessa durante il Big Bang, la gigantesca esplosione che ha dato origine all'Universo secondo le moderne teorie cosmologiche. Viene detta "radiazione a 3 K" perché la sua lunghezza d'onda corrisponde a quella che verrebbe emessa da un corpo nero della temperatura di 3 °K, cioè –270 °C. Si tratta di un flusso di particelle provenienti dallo spazio, quasi tutte dotate di carica elettrica ed è costituito per lo più da ioni di elementi leggeri (idrogeno, deuterio, elio, litio, ecc..) ed elettroni, che si muovono a velocità altissime, prossime a quella della luce.
Un flusso continuo di raggi cosmici raggiunge la nostra atmosfera da tutte le direzioni dello spazio: qui le particelle si moltiplicano in una cascata di interazioni successive, creando un'invisibile e innocua "pioggia cosmica" che colpisce continuamente ciascuno di noi alla frequenza di circa 4000 particelle cariche al minuto. Secondo i recenti studi di un gruppo di ricercatori del Danish Space Research Institute (Nigel D. Marsh,), anche le stelle oltre ad emettere fotoni, cioè luce, e oltre ad agire gravitazionalmente sul resto dell'Universo, emettono "raggi cosmici", cioè particelle ad alta energia che si diffondono nello spazio e inevitabilmente arrivano anche a contatto con la nostra atmosfera. Queste particelle urtando quelle dell'atmosfera, le spezzano in altre più piccole, dette muoni e pioni, che possono essere rivelati sulla superficie terrestre.
Per questa ragione i raggi cosmici hanno rappresentato, agli inizi dello studio della fisica moderna, un mezzo per scoprire molte particelle, come, ad esempio, l’antielettrone.
E’ stato appurato che proprio l’impatto dei raggi cosmici provenienti dalla nostra Galassia, attraverso processi di ionizzazione degli strati più o meno alti dell'atmosfera, sono uno dei fattori primari per la formazione delle nuvole. La copertura nuvolosa più o meno ampia e più o meno duratura attraverso la riflessione della luce solare incidente e il trattenimento degli infrarossi (calore reirradiato dalla Terra), determina a sua volta il clima globale del pianeta.
Si pensava infatti che le fluttuazioni dell'attività solare fossero troppo piccole per avere effetti importanti. Tuttavia periodi di intensa attività solare con forti flussi di particelle cariche verso la Terra (venti solari) riescono a schermare la Terra stessa dai raggi cosmici e quindi ad influenzare la formazione delle nubi e quindi potenzialmente a "modulare" il clima stesso.
Anche la polvere cosmica, che giunge sulla Terra assieme ai raggi cosmici, funge da nucleo catalizzatore per il vapore acqueo addensandolo in forme nuvolose. Microgranuli, prettamente di ferro, silicio e carbonio, giungono così anch’essi ionizzati nell’atmosfera. E' stato calcolato che mediamente in un anno cadono sulla Terra circa 200.000 tonnellate di materia interplanetaria, dall'impalpabile polvere cosmica a oggetti molto più massicci.
Conclusioni Il ragionamento che scaturisce dall’analisi della componente Sole sul clima terrestre si può tradurre in alcuni punti salienti ed esplicativi concatenati tra loro: scarsa presenza di macchie sulla superficie solare, bassa attività magnetica solare, bassi livelli di vento solare intercettato dalla Terra, bassa copertura del pianeta dai raggi cosmici e dalle polveri cosmiche, più nuclei d’aggregazione per le nubi presenti nell’atmosfera. Fino a questo punto il ragionamento illustrato è stato scientificamente verificato anche con il ragionamento inverso.
Quello che noi possiamo ora dedurre, e prevedere, è cosa succederà negli anni a venire. L’alto numero di nuclei d’addensamento per il vapore acqueo dovrebbe aumentare la nuvolosità e quindi della copertura, tutto ciò porterebbe all’innalzamento delle temperature medie terrestri essendo il vapore acqueo il più importante fattore serra. Causando maggiori evaporazioni si dovrebbe innescare un processo a catena che porterebbe la copertura nuvolosa a valori talmente alti da non far più giungere al suolo il potere riscaldante del Sole e causare un brusco abbassamento delle temperature medie terrestri. Quindi con un piccolo iniziale aumento della temperatura si potrebbe andare in contro ad un periodo molto freddo.
Quello che purtroppo non possiamo prevedere è quanto veloce ed immediato possa essere questo processo. Questa teoria, e di conseguenza questa ricerca, non vogliono avere la presunzione di aver trovato la spiegazione delle fluttuazioni termiche terrestri, e contrastare gli innumerevoli studi e teorie sull’effetto serra di origine antropica, ma vogliono portare a conoscenza un fattore abbastanza importante che fino ad ora non veniva considerato nel calcolo delle previsioni climatiche.
I fattori che condizionano l’innalzarsi e l’abbassarsi delle temperature medie terrestri sono molteplici e altri ancora non si conoscono. Quello che noi possiamo fare è tentare di studiarli più a fondo possibile, e per questo le nuove tecnologie ci sono di grande aiuto; diminuendo le incognite potremmo creare modelli sempre più fedeli e prevedere con buone approssimazioni i cambiamenti climatici che potremmo dover affrontare.
Quello che noi direttamente possiamo fare è limitare sicuramente quei fattori di origine antropica che influenzano i processi climatici come la stessa produzione di CO2. L’aumento dagli anni ’80 della concentrazione di CO2 e dei lievi innalzamenti di temperatura, non possono comunque essere spiegati solamente dall’apporto antropico e varie critiche possono essere sollevate a riguardo.
Proviamo a considerare ad, esempio, dove sono state effettuate le misurazioni. Le centraline d’analisi si trovano sempre in prossimità di centri abitati o comunque in stati già di per sè altamente industrializzati e in continua crescita ed espansione. La misurazione delle temperature può essere comunque influenzata dall’effetto delle grandi città, che con l’asfalto, i gas di scarico, gli edifici, creano un’amplificazione del calore già presente. Nessuno ci può garantire che nelle grandi zone disabitate del mondo la temperatura media del posto sia in realtà diminuita, poiché lì non c’è nessuno a misurarla e non esistono dati storici.
Certamente gli annunci allarmistici degli ambientalisti sono magari da vedere più come un tentativo di sensibilizzare la popolazione nell’emissione di anidride carbonica: visto che è un fattore serra importante e lo produciamo noi, possiamo intervenire direttamente. Soluzioni alternative per la produzione di energia elettrica senza combustione ed emissione di CO2 esistono ma purtroppo sono ancora troppo costosi rispetto al più economico, e per ora abbondante, petrolio.
Dunque questa teoria che lega l’attività solare con il clima terrestre può essere considerata come un altro fattore da aggiungere agli innumerevoli che noi conosciamo e che vengono adoperati per le previsioni climatiche, ma molti altri studi devono ancora essere fatti per potere avere una buona approssimazione dei modelli climatici delle ere a venire.
Quello che il senso civico di tutti noi ci consiglia è di essere comunque più attenti in ciò che facciamo e in ciò che produciamo poiché patrimoni inestimabili come le foreste pluviali, i biotopi rari e particolari, la rigogliosità del mare, ecc., non vengano per sempre perduti.
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by Fabio - 16 febbraio 2010
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